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Per Aspera Ad Veritatem n.9
Corte D'ASSISE DI ROMA - SENTENZA N. 40/96 DEL 21 DICEMBRE 1996



LA 2ª CORTE D'ASSISE DI ROMA

composta dai signori: Presidente Dott. Salvatore GIANGRECO; Dott. Stefano PETITTI - Giudice; Sig.ra Palma MONTOZZI - Giudice popolare; Sig. Romeo CAPACCI - Giudice popolare; Sig. Gianfranco CIURLUINI - Giudice popolare; Sig. Sergio GIOVAGNOLI - Giudice popolare; Sig.ra M.Virginia PALMIERI - Giudice popolare; Sig.ra Silvia EGIDI; con l'intervento del P.M. rappresentato dal Signor Dott. Franco IONTA e con l'assistenza di M. Augusta PAOLETTI.



SENTENZA
NELLA CAUSA PENALE CONTRO (...)

Ritenuto in fatto

A seguito di indagini, si apprendeva che (...), in data 4.2.1992, si era recato a Padova e si era incontrato con il Sostituto Procuratore Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Padova, (...).
Al suo rientro a Roma, dove lo attendeva (...), veniva sottoposto a perquisizione della propria valigetta, al cui interno veniva rinvenuta documentazione classificata.
A seguito di ulteriore perquisizione presso il proprio appartamento e presso la sede dell'Agenzia di Stampa "Punto Critico", venivano rinvenuti ulteriori documenti classificati, il possesso dei quali veniva giustificato affermando che il materiale era stato affidato dall'amico (...), che, per ragioni personali, non poteva custodirlo presso la propria abitazione e che era stato prodotto dall'Avvocatura dello Stato in alcuni processi che lo stesso aveva intentato nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
(...) sosteneva, inoltre, che il materiale rinvenuto nella valigetta, in particolare il documento OSSI (Operatori Speciali del Servizio Italiano), veniva detenuto per accertamenti documentali a seguito della propria nomina a "consulente tecnico" da parte del magistrato militare di Padova, il quale, effettivamente, in data 5.2.1992, trasmetteva al dott. COIRO un fax contenente i dati relativi alla consulenza di (...).
Rilievo particolare assume, tra gli altri, il documento OSSI sopracitato, infatti, lo stesso portava originariamente la classifica di "segretissimo" e solo successivamente, in data 18.12.1990, al momento della trasmissione alla Commissione stragi, veniva declassificato da parte dell'Ente originatore a documento "di vietata divulgazione".
La Corte ritiene, per quanto sopra esposto, che sia pienamente provato l'elemento materiale del delitto contestato agli imputati e ritiene non possa dubitarsi della consapevolezza, da parte degli imputati stessi, della natura di documenti riservati o, comunque, di vietata divulgazione. Perché possa ritenersi integrata la fattispecie descritta dall'art. 262 c.p. e possa, sussistendo l'elemento soggettivo del reato, essere affermata la responsabilità penale degli imputati, occorre, quindi, valutare la idoneità dei documenti a costituire notizie delle quali l'autorità ha vietato la divulgazione ai sensi dell'art. 262 c.p.

Considerato in diritto

La Corte non ritiene che il semplice riscontro dell'esistenza di una classifica o del divieto di divulgazione disposto dall'autorità competente sia sufficiente ad integrare la fattispecie di cui all'art. 262 c.p., dal momento che questa disposizione deve essere letta alla luce della normativa introdotta in materia di segreto di Stato dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801. Ai sensi dell'art. 18 di tale legge, infatti, sino alla emanazione di una nuova legge organica relativa alla materia del segreto, le fattispecie previste e punite dal libro II, titolo I, capi primo e quinto del codice penale, concernenti il segreto politico interno e internazionale, debbono essere riferite alla definizione del segreto di cui agli artt. 1 e 12 della stessa legge.
L'art. 1 della legge n. 801, a sua volta, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri l'alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento. Il Presidente del Consiglio impartisce le direttive ed emana ogni disposizione necessaria per l'organizzazione ed il funzionamento delle attività attinenti ai fini suddetti, controlla l'applicazione dei criteri relativi alla apposizione del segreto di Stato e alla individuazione degli Organi a ciò competenti ed esercita la tutela del segreto di Stato. L'art. 12 della legge n. 801 stabilisce, poi, che "sono coperti da segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli Organi costituzionali, alla indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato. In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell'ordine costituzionale".
Che la apposizione del segreto di Stato e che il divieto di divulgazione possano essere disposti dall'autorità competente solo in relazione a finalità determinate, risulta confermato poi dall'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il quale dopo aver stabilito che il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento (con ciò affermando la permanente esistenza della categoria delle notizie di vietata divulgazione della quale a seguito della entrata in vigore della legge n. 801 poteva dubitarsi), autorizza, al secondo comma, il Governo ad emanare norme regolamentari per disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare: a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; b) la politica economica e valutaria; c) l'ordine pubblico e la prevenzione e la repressione della criminalità; d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese.
In attuazione di quanto disposto da questo articolo, il D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, ha stabilito, all'art. 8, comma 2, che i documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell'art. 24, precisando che i documenti contenenti informazioni connesse a tali interessi sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione, e, all'art. 8, comma 5, lettera a), che i documenti amministrativi possono essere sottratti all'accesso quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. 12 della legge n. 801 del 1977, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, nonché all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste nei trattati e nelle relative leggi di attuazione.
Il quadro che emerge dalla normativa vigente, dunque, appare caratterizzato dalla esigenza di assicurare sì la possibilità che il Presidente del Consiglio dei Ministri o altre Amministrazioni pubbliche possano, rispettivamente, apporre il segreto di Stato o disporre il divieto di divulgazione o classificare altrimenti le notizie in relazione al loro contenuto; ma tale possibilità risulta chiaramente attuabile in relazione alle finalità indicate dalle leggi e dalle norme regolamentari indicate.
Entro i limiti imposti dalla normativa ora richiamata, la Corte ritiene che la classificazione delle notizie e dei documenti o di quant'altro possa essere classificato a fini di sicurezza, possa essere oggetto di accertamento da parte dell'autorità giudiziaria. Si tratta, infatti, di valutazioni che, per quanto discrezionali, concorrono ad integrare la fattispecie incriminatrice e che in tanto possono essere validamente assunte a fondamento di un giudizio di responsabilità penale in quanto rientrino nelle finalità che la legge n. 801 riconosce come le sole che possono consentire l'apposizione a notizie o documenti del segreto di Stato e che la legge n. 241 del 1990 riconosce come fondanti il divieto di divulgazione.
A tale impostazione la Corte non ritiene che sia di ostacolo la sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 1977 (sentenza invocata dal pubblico ministero e dalla parte civile e che ha costituito la premessa della approvazione della legge n. 801 del 1977), nella quale si afferma che "la individuazione dei fatti, degli atti, delle notizie, ecc., che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi, rimanere segrete, costituisce indubbiamente il frutto di una valutazione dell'autorità preposta appunto a salvaguardare questa sicurezza e non può non consistere in un'attività pienamente discrezionale e, più precisamente, di una discrezionalità che supera l'ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente amministrativa, in quanto tocca la salus reipublicae ed è, quindi, intimamente legata all'accertamento di questi interessi ed alla valutazione dei mezzi che ne evitano la compromissione e ne assicurano la salvaguardia", precisandosi che "il giudizio sui mezzi idonei e necessari per garantire la sicurezza dello Stato ha natura squisitamente politica e, quindi, mentre è connaturale agli organi ed alle autorità politiche preposte alla sua tutela, certamente non è consono all'attività del giudice". Secondo la Corte Costituzionale, infatti, nel nostro ordinamento è di regola inibito al potere giurisdizionale di sostituirsi al potere esecutivo e alla P.A. e, quindi, di operare il sindacato di merito sui loro atti. "Contraddire a questo principio significherebbe capovolgere taluni criteri essenziali del nostro ordinamento e, in fatto, eliminare praticamente il segreto ancor prima di una qualsiasi pronuncia del giudice e nel momento stesso nel quale la questione dell'ammissibilità o meno del segreto fosse sottoposta ad un giudice".
Come si diceva, questa Corte non ritiene che tali principi siano di ostacolo all'esercizio di un qualsiasi sindacato a fronte della comunicazione della classifica di segretezza o di un documento o di una notizia; a maggior ragione, poi, le affermazioni sopra riportate non possono essere di ostacolo alla valutazione della riservatezza di notizie delle quali sia stata positivamente, con provvedimento esplicito, vietata la divulgazione, dal momento che, in tali casi, il carattere di riservatezza discende da un positivo apprezzamento che vale a qualificare una notizia altrimenti suscettibile di essere conosciuta da un numero imprecisato di persone. Invero, a parte il rilievo che la pronuncia della Corte si riferisce al momento procedimentale della apposizione del segreto da parte del potere esecutivo e non anche direttamente alla valutazione del segreto apposto ad un documento o ad una notizia allorquando la segretezza del documento o della notizia integrino un elemento costitutivo di una fattispecie penale (non a caso, del resto, la Corte ipotizzava nella pronuncia citata il rimedio del conflitto di attribuzione in relazione alla opposizione del segreto di Stato ove questa paralizzasse l'esercizio della giurisdizione penale: ipotesi, questa, non configurabile nel caso in cui la segretezza di un documento o di una notizia sia elemento costitutivo di un illecito penale), sta di fatto che la legge n. 801 del 1977, che pure si ispirava direttamente alla pronuncia della Corte, e la successiva legge n. 241 del 1990 hanno circoscritto l'ambito del segreto di Stato e, rispettivamente, del divieto di divulgazione al perseguimento di finalità che, benché espresse in termini necessariamente generali, appaiono tuttavia oggettivamente valutabili e comunque diverse da quelle considerate dal testo dell'art. 256 c.p. (notizie che nell'interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato debbono rimanere segrete). La stessa legge, poi, all'art. 12, secondo comma, fa divieto della apposizione del segreto a fatti eversivi dell'ordine costituzionale.
In questa prospettiva, inoltre, non può non rilevarsi che la legge n. 801 del 1977, nell'istituire gli Organismi incaricati dei servizi di informazione e di sicurezza, ne stabilisce anche le finalità, individuate, per il SISMI, nei compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare dell'indipendenza e dell'integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione e nei compiti di controspionaggio (art. 4), e, per il SISDe, nei compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione (art. 6). Una interpretazione sistematica delle disposizioni ora indicate, con la disposizione di cui all'art. 12 della stessa legge, consente di affermare, in considerazione della quasi testuale coincidenza tra le finalità che devono essere perseguite dai Servizi di informazione e quelle per le quali può essere apposto o opposto il segreto di Stato, che la disciplina del segreto, per quanto concerne l'attività degli Organismi di informazione e di sicurezza istituiti dagli artt. 4 e 6 della legge n. 801, va sottoposta alla medesima valutazione di rispondenza alle finalità istituzionali dei Servizi stessi, e quindi, anche nei confronti dell'attività di questi Organismi, può essere operata quella valutazione che, come si è già detto, può essere condotta dal giudice nella applicazione della normativa concernente fattispecie penali nelle quali il segreto è elemento costitutivo. In altri termini, alla coincidenza di finalità non può non corrispondere analoga soluzione interpretativa.
In sostanza, il quadro che discende dalla normativa applicabile, lungi dall'imporre la mera registrazione della classificazione di un documento o di una notizia, appare imporre, al contrario, un sindacato, ancorché limitato al rispetto delle finalità per le quali il segreto può essere apposto (o il divieto di divulgazione può essere disposto), ad un atto o a una notizia e alla insussistenza di fatti eversivi dell'ordine costituzionale.
La disciplina legislativa ora richiamata, inoltre, deve ispirare, secondo quanto stabilito dall'art. 10 della stessa legge n. 801, anche la valutazione di tutta la normativa interna e regolamentare che, per il passato, abbia regolato l'attività dei Servizi di informazione e di sicurezza. Dispone, infatti, l'art. 10, da un lato, che "nessuna attività comunque idonea per l'informazione e la sicurezza può essere svolta al di fuori degli strumenti, delle modalità, delle competenze e dei fini previsti dalla presente legge" (primo comma), e, dall'altro, che "sono abrogate tutte le disposizioni interne e regolamentari in contrasto o comunque non compatibili con la legge stessa" (secondo comma). Si tratta di disposizione che, ai fini dell'accertamento oggetto del presente giudizio, acquista un rilievo particolare, in quanto sia la disciplina del segreto di Stato, sia l'organizzazione di sicurezza e informazione, preesistenti alla entrata in vigore della legge n. 801 del 1977, devono essere valutate con riferimento alla struttura organizzativa e alle finalità previste da tale legge.
A questo proposito, la Corte deve rilevare innanzitutto che, per quel che concerne la normativa interna e regolamentare, questa, proprio per la sua natura di fonte subordinata alla legge, non può non essere applicata solo se non contrastante con le indicazioni contenute nella legge n. 801 del 1977; si tratta, in particolare, della normativa contenuta nella circolare PCM-ANS 1/R, la quale, quindi, in tanto potrà trovare applicazione e fondare il giudizio di questa Corte, in quanto sia coerente con le finalità indicate nelle citate disposizioni legislative.


Quanto alla questione sollevata dalla difesa degli imputati, della illegittimità della delega delle funzioni attinenti alla tutela del segreto di Stato alla Autorità Nazionale per la Sicurezza e alla conseguente illegittimità della normativa stessa per sostanziale carenza di potere da parte dell'Autorità stessa nel momento in cui venne sottoscritto l'atto di approvazione della circolare, la Corte ritiene che la stessa sia non fondata. L'attribuzione delle funzioni in materia di sicurezza e informazione al Presidente del Consiglio dei ministri non può comportare che le funzioni stesse siano esercitate personalmente ed esclusivamente dal Presidente del Consiglio; al contrario, l'art. 1 della legge n. 801 del 1977, nel prevedere che il Presidente del Consiglio emana ogni disposizione necessaria per la organizzazione e il funzionamento delle attività delle quali egli è investito ai sensi del primo comma dello stesso articolo, e nel prevedere esplicitamente l'attività di controllo della applicazione dei criteri relativi alla apposizione del segreto di Stato e alla individuazione degli organi a ciò competenti, presuppone proprio la non esclusività dell'esercizio delle relative funzioni, essendo del tutto evidente che esclusiva è soltanto la responsabilità, non solo politica, del Presidente del Consiglio per il modo di applicazione della disciplina del segreto di Stato.
In sostanza, quindi, la normativa sulle competenze del Presidente del Consiglio dei ministri, quale risulta dalla legge n. 801 del 1977, neanche se interpretata alla luce della successiva normativa sulla organizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, che dal pari non prevede espressamente la delega delle funzioni in materia di segreto di Stato, può indurre a ritenere illegittima la nomina di un funzionario dello Stato ad Autorità Nazionale per la Sicurezza. Ciò che, deve ritenersi, la legge n. 801 del 1977 ha inteso assicurare, anche alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 86 del 1977, è che il Presidente del Consiglio abbia in prima persona la responsabilità della attività di informazione, di sicurezza e di gestione del segreto, ma non che egli eserciti personalmente tutte le attribuzioni inerenti a tali funzioni.
Né può essere censurata la individuazione del soggetto incaricato, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri e sotto la responsabilità dello stesso Presidente, di esercitare le funzioni di Autorità Nazionale per la Sicurezza. Il fatto che, dopo l'entrata in vigore della legge n. 801, il Presidente del Consiglio dell'epoca abbia ritenuto di nominare una Autorità Nazionale per la Sicurezza, individuando la persona investita dell'incarico nel direttore del SISMI (v. decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 30 gennaio 1978) e che analoga determinazione abbiano assunto i Presidenti del Consiglio che si sono succeduti nel tempo, lungi dal costituire violazione di una qualche esplicita previsione della legge n. 801, deve ritenersi una prima applicazione, ad opera del Presidente del Consiglio, della legge stessa.
Appare, dunque, evidente come il Presidente del Consiglio dei ministri, nel 1978, e i suoi successori, abbiano in tal modo inteso dare attuazione alla legge n. 801; il fatto che la delega per la tutela del segreto sia stata affidata all'Autorità Nazionale per la Sicurezza, ben si spiega, come risulta dalla relazione del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, con la preesistenza di tale autorità nell'ambito degli accordi NATO; ed ancora, il fatto che la nomina sia caduta sul Direttore del SISMI, appare ragionevolmente spiegabile con l'attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri della responsabilità della politica della informazione e della sicurezza, alla quale dalla legge n. 801 risultano preposti, sotto l'alta direzione del Presidente del Consiglio, il SISMI e il SISDe.
Né, a questo proposito, elementi decisivi di valutazione possono desumersi dalla citata relazione, là dove si afferma che la figura dell'Autorità Nazionale per la Sicurezza non è prevista nella legge n. 801 del 1977, che assegna al Presidente del Consiglio la titolarità dei poteri in ordine al segreto di Stato, e ne definisce all'articolo 12 la sfera delle possibili applicazioni (pag. 18). Invero, la potestà organizzativa riconosciuta in materia di informazione e di sicurezza al Presidente del Consiglio dei ministri e la natura politica delle funzioni ad esso spettanti anche in materia di sicurezza, informazione e segreto di Stato, da un lato, consentono il ricorso allo strumento organizzativo della delega e, dall'altro, suggeriscono proprio l'attribuzione ad altri soggetti delle funzioni tecniche inerenti alla materia stessa.
Prive di fondatezza sono poi le censure, sollevate nel corso del dibattimento dalla difesa, in ordine alla mancata rinnovazione della delega in favore dell'Autorità Nazionale per la Sicurezza da parte dei Presidenti del Consiglio succedutisi nel tempo. A parte ogni rilievo circa la rilevanza della questione, posto che la valutazione dei documenti oggetto del capo di imputazione risulta attualizzata dalla comunicazione dell'Autorità Nazionale per la Sicurezza, di cui si è detto, e posto che quando venne approvata la normativa contenuta nella PCM-ANS 1/R era ancora in carica il Presidente del Consiglio che aveva disposto la delega, e che quindi, una volta affermata la piena legittimità del ricorso alla delega da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, l'attività del soggetto delegato deve ritenersi si sia espletata nella pienezza dei poteri conferitigli con la delega stessa, sta di fatto che l'istituto della delega è caratterizzato dalla sua revocabilità e che, quindi, in assenza di un provvedimento uguale e contrario a quello di nomina, la legittimazione del funzionario anche sotto la Presidenza di altri Presidenti del Consiglio dei ministri non può essere revocata in dubbio.
Sotto altro profilo, la difesa degli imputati (...) e (...) ha contestato la legittimità della valutazione in ordine alla classificazione dei documenti indicati nei capi A) e B) della rubrica, rilevando che l'Ufficio Centrale della Sicurezza (UCSI), del quale, come è emerso nel corso della istruzione dibattimentale, l'Autorità Nazionale per la Sicurezza si avvale per l'esercizio delle sue funzioni in materia di classifica delle notizie, sarebbe a sua volta illegittimo perché la sua stessa esistenza non sarebbe prevista dalla legge n. 801 del 1977 e contrasterebbe, conseguentemente, con quanto stabilito dall'art. 10 della stessa legge. A questo proposito, infatti, a parte il rilievo che preesisteva un Ufficio di Sicurezza (USI), denominato dal 5 gennaio 1980 UCSI, ed a parte il rilievo che con tale decreto e con i successivi ne è stato disposto l'inserimento nella organizzazione del CESIS, occorre sottolineare che l'art. 1 della legge n. 801 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri la competenza ad assumere le determinazioni necessarie alla organizzazione della sua attività in materia di sicurezza, informazione e tutela del segreto di Stato. Il fatto che ciò sia avvenuto con il decreto suddetto e con i successivi non vale, ad avviso di questa Corte, a far ritenere che si sia costituito un ufficio non previsto dalla legge n. 801, in quanto tale illegittimo. Al contrario, la previsione dell'inserimento funzionale nella organizzazione del CESIS e di quello organizzativo nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, vale a far ritenere legittimamente esercitato il potere di organizzazione attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri. Anche sotto questo profilo, pertanto, le obiezioni prospettate dalla difesa degli imputati non possono essere accolte.
Per quanto riguarda, comunque, il merito dei documenti indicati, deve rilevarsi che la pubblicazione PCM-ANS 1/R ha tra i propri destinatari la biblioteca della Corte dei conti e che dalla documentazione prodotta in giudizio dalla difesa del (...) si evince che anche soggetti non appartenenti a quell'organo possono accedere alla biblioteca; tanto basta, ad avviso della Corte - tenuto conto del rilievo che, al contrario di tutti gli enti ed organismi destinatari della pubblicazione per i quali viene indicato con precisione l'ufficio presso il quale la pubblicazione stessa deve essere custodita, per la Corte dei conti viene individuato un luogo nel quale anche persone non facenti parte della Corte dei conti, ma comunque ammesse alla biblioteca, ne possono venire a conoscenza - per ritenere che la pubblicazione nel suo complesso e le pagine oggetto di contestazione non possono, nonostante la valutazione espressa in tal senso dall'Autorità Nazionale per la Sicurezza, considerarsi tutelate dalla classifica di riservatezza. In sostanza, posto che la pubblicazione PCM-ANS 1/R fa parte di una biblioteca alla quale possono avere accesso anche soggetti diversi da quelli legittimati ad avere conoscenza della pubblicazione stessa, deve ritenersi che la previsione dell'inoltro della pubblicazione alla biblioteca sia incompatibile con la sua classifica di riservatezza.
In ogni caso, non può non rilevarsi che, ad eccezione delle pagine concernenti lo specchio di distribuzione della pubblicazione, le quali, peraltro, avulse dal contesto della pubblicazione non pare possano rivestire un autonomo carattere di riservatezza, le altre pagine oggetto della contestazione hanno perso il carattere di riservatezza per assumere quello del notorio, a seguito della loro pubblicazione sia negli atti parlamentari, sia su organi di stampa, come dimostrato dalla difesa del (...) attraverso la sua tempestiva produzione documentale.
Né le circostanze ora evidenziate possono essere contrastate dal rilievo che sia negli atti parlamentari sia sulla stampa, il testo pubblicato era quello della SMD 1/R approvata nel luglio 1973, dal momento che l'istruzione dibattimentale e lo stesso riscontro documentale hanno consentito di accertare la identità della PCM-ANS 1/R, oggetto di contestazione, alla normativa che immediatamente la precedeva nel tempo.
Il (...) è imputato del delitto di cui all'art. 479 c.p., per avere, nella sua qualità (e nell'esercizio delle sue funzioni) di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale militare di Padova, falsamente formato il verbale di conferimento di consulenza tecnica a (...) datato 4 febbraio 1992, e per avere falsamente attestato di avere conferito a quest'ultimo una consulenza tecnica avente ad oggetto il documento SS/5/GNO-1/DB, denominato "Operatori Speciali del Servizio Italiano (OSSI)" e di avergli consegnato il documento.
La valutazione contenuta nella citata nota dell'Autorità Nazionale per la Sicurezza, nella quale si dà atto dell'avvenuta declassificazione del documento OSSI, pertanto, appare pienamente rappresentativa della volontà del Presidente del Consiglio dei ministri circa la natura delle notizie contenute in quel documento.
Ciò tuttavia non basta, come rilevato in precedenza, ad affermare la responsabilità penale degli imputati in quanto, anche per le notizie di vietata divulgazione, occorre procedere alla verifica della riconducibilità della notizia o del documento alle finalità previste dalla normativa vigente per la legittima apposizione del segreto di Stato o del divieto di divulgazione, fermo restando il divieto di apposizione del segreto di Stato a notizie o fatti eversivi dell'ordine costituzionale, ai sensi dell'art. 12, secondo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801.
Ebbene, la Corte ritiene che il documento in questione non possa essere legittimamente coperto da segreto o da altra limitazione nella sua circolazione e nella sua conoscibilità, proprio ai sensi del secondo comma dell'art. 12 citato. Che si tratti di un documento di contenuto del tutto particolare risulta all'evidenza dalla lettura del suo oggetto.
Il documento, infatti, si prefigge lo scopo di definire le caratteristiche degli Operatori Speciali del Servizio Italiano e di delineare i procedimenti e il quadro di impiego e di dare un cenno sulla organizzazione della Guerra Non Ortodossa (GNO). Nel documento si legge, quindi, che gli OSSI sono raggruppati in Gruppi Operazioni Speciali (GOS) e cioè nuclei organicamente precostituiti che rispondono alle normali esigenze di impiego, costituiti, tra l'altro, da uno specialista explos-sabotaggio e da uno specialista armi e tiro e con il compito di condurre azioni dirette, così definite perché "condotte direttamente contro il nemico ed il suo potenziale bellico con scopi informativi, di sabotaggio, di disturbo" e azioni indirette, così definite perché si concretizzano in "attività di promozione ed organizzazione della resistenza, supporto ad unità della resistenza". I compiti addestrativi dei GOS riguardano, poi, lo studio e la sperimentazione di tecniche, armi, materiali ed equipaggiamento speciali; il reclutamento degli Operatori avviene mediante la selezione di personale di leva delle FF.AA.
Orbene, la Corte non può non rilevare il clima di difficoltà che ha caratterizzato l'accertamento dell'Autorità Nazionale per la Sicurezza, prima, e quello dibattimentale, poi, circa la natura, la provenienza e la portata del documento in questione. E si tratta di un clima che appare pienamente coerente con il contenuto del documento, dal momento che in esso si ipotizza, da parte di organismi dello Stato destinati ad assolvere, non compiti operativi e militari, ma funzioni di informazione e sicurezza ai fini della difesa dello Stato, e all'interno degli organismi stessi, l'esistenza di un'organizzazione costituita anche da appartenenti alle forze armate e preordinata al compimento di azioni di guerra, ancorché non ortodossa, al di fuori dell'unica istituzione che, in base all'ordinamento costituzionale, deve legittimamente ritenersi incaricata dello svolgimento di attività di difesa della Patria, e cioè al di fuori delle Forze Armate e al di fuori di una qualsiasi controllo da parte del Capo dello Stato che, ai sensi dell'art. 87 della Costituzione, di queste ha il comando.
In sostanza, il documento in questione, deve essere ritenuto eversivo dell'ordine costituzionale, ai sensi dell'art. 12, secondo comma, della legge n. 801 del 1977 e come tale insuscettibile di apposizione di segreto.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte visti gli artt. 533-535 c.p.p., dichiara (...) e (...) colpevoli del reato di cui al capo A), limitatamente ai nn. 1, 7, 8, 13, 14, 16, 17, esclusa la continuazione, e concesse ad entrambi le attenuanti generiche, li condanna alla pena di anni due di reclusione ciascuno, nonché, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali e individualmente al pagamento delle spese di custodia cautelare;
dichiara (...) colpevole del reato di cui ai capo E), esclusa l'aggravante dell'art. 61 n. 2 c.p. e concesse le attenuanti generiche dichiarate prevalenti sull'aggravante dell'art. 476, cpv. c.p., lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione, ed alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per un uguale periodo, a norma degli artt. 31 e 37 c.p., oltre al pagamento delle spese processuali;
visti gli artt. 163 e 166 c.p.p., ordina la sospensione condizionale della pena inflitta al (...) e al (...) per la durata di cinque anni;
visti gli artt. 538 e segg. c.p.p., condanna inoltre il (...) e il (...), in solido tra loro, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle Amministrazioni costituite nei loro confronti, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese di costituzione e difesa in favore dell'Avvocatura dello Stato, liquidate in complessive lire diecimilioni per onorari;
visto l'art. 530 c.p.p., assolve il (...) e il (...) perché il fatto non sussiste dalle imputazioni di cui al capo A), limitatamente ai nn. 2, 3, 4, 5, 6, 9, 10, 11, al capo B) e al capo H); perché il fatto non costituisce reato, relativamente al capo A), nn. 12 e 15;
assolve inoltre il (...) dall'imputazione di cui al capo A) relativamente ai nn. 18 e 19 e al capo M), perché il fatto non sussiste; assolve inoltre il (...) dall'imputazione di cui al capo A) relativamente ai nn. 18 e 19, per non aver commesso il fatto, assolve il (...) dalle imputazioni ascrittegli ai capi C), D), F), I) e L) perché il fatto non sussiste e dall'imputazione di cui al capo G) perché il fatto non costituisce reato; assolve il (...) dall'imputazione ascrittagli perché il fatto non sussiste;
visto l'art. 262 c.p.p.,
ordina, previa revoca del sequestro, la restituzione dei documenti di cui ai capi di condanna alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e la restituzione degli altri documenti al (...) e al (...), secondo i rispettivi verbali di sequestro, conseguentemente disponendo l'eliminazione del Corpo di reato 133995;
visto l'art. 544 c.p.p.,
indica in novanta giorni il termine di deposito della motivazione della sentenza.


Roma, 21 dicembre 1996


(*) La seguente sentenza, emessa dalla 2a Corte d'Assise di Roma, viene pubblicata in stralcio nella parte ritenuta di specifico interesse per la presente pubblicazione.

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